Alcide De Gasperi nacque a Pieve Tesino, allora
territorio asburgico, nell’aprile aprile 1881. Attivo fin dagli
anni giovanili nel movimento cattolico locale, affiancò l’azione
di agitazione e organizzazione politica a un’intensa attività
giornalistica e di indirizzo politico-culturale. All’indomani
della laurea in filologia moderna conseguita all’Università di
Vienna (1905), il vescovo di Trento Celestino Endrici lo nominò
direttore del quotidiano La Voce cattolica, che l’anno seguente
cambiò nome in Il Trentino. Membro del Parlamento austriaco
(1911-1914) e della Dieta tirolese di Innsbruck (1914), si spese
in difesa della causa nazionale trentina e, negli anni del
conflitto, in favore delle migliaia di profughi trentini costretti
a lasciare le proprie terre.
All’indomani del primo conflitto mondiale, che sancì il passaggio del Trentino al Regno d’Italia, aderì al Partito popolare italiano di Luigi Sturzo, entrando in parlamento in occasione delle elezioni del 1921. Del Partito popolare italiano De Gasperi fu dapprima capogruppo alla Camera, quindi segretario in seguito alle dimissioni di Sturzo (1923), carica che conservò fino allo scioglimento forzato del partito imposto dal regime fascista nel 1926. Estromesso dalla vita politica e condannato a due anni di carcere con l’accusa di tentato espatrio, trovò rifugio in Vaticano nel 1929, dove non senza fatica ottenne un modesto incarico da bibliotecario. Lungo tutti gli anni Trenta si impegnò nella salvaguardia dei fondamenti ideali del popolarismo attraverso un’intensa attività saggistica e pubblicistica, in cui si espresse il suo singolare antifascismo condotto entro una prospettiva anzitutto culturale.
Fu un quindicennio di sostanziale isolamento politico a cui seguì, a partire dai primi anni Quaranta, un’intensa attività di riorganizzazione delle forze politiche dei cattolici italiani. De Gasperi fu tra i protagonisti della nascita della Democrazia cristiana e partecipò alla costituzione del Comitato di liberazione nazionale da cui prese le mosse la lotta resistenziale antifascista. Caduto il regime mussoliniano, De Gasperi fu nominato capo del Governo di unità nazionale che guidò il complesso processo di transizione istituzionale alla Repubblica. Confermato primo ministro all’indomani del successo elettorale democristiano alle prime elezioni della storia repubblicana italiana (1948), fu ininterrottamente a capo del governo fino al 1953, esercitando una leadership fondata sull'intreccio tra realismo politico, rigore morale e ancoraggio agli ideali libertari e democratici.
Furono, quelli della cosiddetta “età degasperiana”, gli anni del reinserimento dell’Italia nel consesso internazionale e della ricostruzione del tessuto istituzionale, sociale ed economico del paese, ridotto in macerie dalla guerra e da vent’anni di regime liberticida. Accanto alla guida del processo di transizione alla democrazia, l’azione politica degasperiana del dopoguerra si segnalò per uno spiccato impegno di stampo europeista, orientato a definire le basi per la costruzione di un ordine politico ed economico di carattere sovranazionale. Tra i più convinti fautori della nascita della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), ne divenne presidente nel 1954. Morì il 19 agosto dello stesso anno a Sella di Valsugana.
La piattaforma ALCIDE (Analysis of Language and Content In a Digital Environment) nasce dalla collaborazione tra due centri di ricerca della Fondazione Bruno Kessler di Trento: l’Istituto storico italo-germanico e il gruppo Digital Humanities del Center for Information and Communication Technology. Storici e informatici umanistici hanno lavorato alla costruzione di un software originale di analisi del discorso, che unisce strumenti di analisi del linguaggio a modelli di visualizzazione di strutture dati complesse.
La piattaforma consente diversi tipi di analisi automatica dei documenti: l’estrazione di concetti chiave, la ricerca testuale, il riconoscimento di nomi di persona e di luogo, la visualizzazione dei network, l’individuazione delle co-occorrenze, l’analisi della complessità sintattica e semantica dei testi. Il corpus dei documenti riprende integralmente l’edizione A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici, I-IV, sotto la direzione scientifica di Paolo Pombeni, Bologna, il Mulino, 2006-2009.
Un modo originale per ripercorrere la biografia di Alcide De Gasperi è partire dagli oltre 2.700 documenti in cui si è tradotta la sua attività di giornalista, intellettuale e uomo politico. Gli scritti e i discorsi, che comprendono articoli di giornale, saggi, interventi politici e istituzionali, documenti diplomatici, sono stati organizzati in ordine cronologico-tematico.
Attivista politico e giornalista
Il lavoro nelle istituzioni. Trento, Vienna, Innsbruck
Giornalista e attivista politico
Nel Partito popolare
Parlamentare a Roma
Interventi sulla stampa e discorsi pubblici
Azione di governo e atti istituzionali
Attività di partito
Interventi sulla stampa e discorsi pubblici
Azione di governo e atti istituzionali
Attività di partito
Per mettere in evidenza le potenzialità di ALCIDE, abbiamo isolato alcuni temi significativi dell’esperienza politica di De Gasperi e li abbiamo analizzati attraverso gli strumenti di ricerca della piattaforma. Sono solo alcuni dei percorsi che ogni lettore può immaginare e seguire.
Nella sua vita De Gasperi ha sempre lavorato con le parole: articoli di giornale, editoriali, discorsi tenuti in aule istituzionali dal Comune al Parlamento, o in assemblee e comizi davanti a un pubblico molto vario, composto, via via, da studenti, compagni di partito, folle nelle piazze. Ci si può allora chiedere se ha mai riflettuto su questa sua attività di comunicatore, che tanta parte ha avuto nella sua vita.
Insieme a Konrad Adenauer, Rober Schuman, Jean Monnet e Paul-Henri Spaak, De Gasperi è considerato uno dei padri fondatori dell’Europa. Negli ultimi anni di vita lavorò con energia alla costruzione di un’unità politico-economica dell’Europa occidentale, che ai suoi occhi rappresentava uno straordinario strumento di pace, crescita e sviluppo per i paesi da poco usciti dalla guerra.
L’esame dei principali concetti chiave presenti negli scritti e discorsi di De Gasperi restituisce il senso di fusione tra idealità e realtà che ha caratterizzato lo sviluppo del suo progetto politico. Fin dagli anni della formazione il giovane Alcide ha mostrato una certa sensibilità nell'interpretare i profondi mutamenti culturali e sociali in atto.
Nella formazione e nella vita politica di De Gasperi la dimensione spirituale ha avuto un ruolo di grande rilevanza. Una conferma indiretta del peso che la cultura religiosa ha avuto per il politico trentino viene dall’esame dei nomi di persona citati all’interno dei suoi scritti e discorsi politici : la figura in assoluto più citata è Gesù Cristo (richiamato in 192 documenti), seguito da Mussolini (167), Togliatti (159), Nenni (145), Leone XIII (95)
Spesso si dice che De Gasperi fosse un politico interessato più alla concretezza dell’azione che alla dimensione teorica e culturale. In realtà, però, De Gasperi nei suoi scritti accenna spesso a riferimenti culturali specifici, con finalità retoriche.
De Gasperi è ricordato come uno dei maggiori statisti italiani. Vero e proprio emblema dell’”uomo di Stato” portato a servire il Paese, egli è stato anche “uomo di partito” e “uomo di governo”. Vale allora la pena chiedersi quale concezione abbia avuto del partito e del governo, due dei principali poli intorno a cui è ruotata la sua lunga azione politica.
Sara Tonelli
Digital Humanities, FBK
Giovanni Moretti
Digital Humanities, FBK
Rachele Sprugnoli
Università Cattolica
Matteo Moretti
La piattaforma è stata realizzata usando come gestione della base di dati un database relazionale interfacciato con un application server; nel specifico è stato impegato MySQL per la memorizzazione dei dati e Apache Tomcat come application server. Il trattamento del testo a livello linguistico è avvenuto attraverso l'utilizzo di vari tool di NLP (Natural Language Processing) per la lingua italiana. Per la segmentazione del testo, l'estrazione di lemmi, parti del discorso, nomi propri di persona e di luoghi geografici sono state usate le pipeline di analisi TextPro e Tint. I concetti chiave invece sono stati estratti con Keyphrase Digger (KD). La georeferenziazione delle entità geografiche si è appoggia a Nominatim. L'intefaccia è stata realizzata con ReactJS esteso con specifici pacchetti per la visualizazzione dei dati.
Nella sua vita De Gasperi ha avuto a che fare con molti testi, scritti e orali: articoli di giornale, editoriali, discorsi tenuti in sedi istituzionali, in assemblee e comizi davanti a un pubblico molto vario, composto via via da studenti, compagni di partito, folle nelle piazze. Ha senso allora chiedersi se ha mai riflettuto su questa attività di comunicatore, che tanta parte ha avuto nella sua vita.
Una prima domanda da porsi può essere: De Gasperi ha mai scritto qualcosa sulla sua scrittura? Non tantissimo: se si cerca tra le keywords, si vede ad esempio che scrittura non compare mai, mentre compare, raramente, scrivere:
una prima volta nel 1915 in una breve risposta a un lettore, e poi nel 1950, in un articolo pubblicato sul Popolo, e rivolto ai lettori democristiani perché promuovano la diffusione del quotidiano del partito.
Il documento è tardo, ma significativo per svolgere alcune considerazioni sul suo rapporto con la comunicazione. Innanzitutto, De Gasperi collega le sue idee sul giornalismo alla sua esperienza giovanile:
«Giornalista anch’io in altri tempi, conosco appieno la vita tormentosa dei miei ex colleghi, così magra di soddisfazioni e così folta di spine, affannata sempre dall’ansia del lavoro e dall’impossibilità di rincorrere il ritmo frenetico di sempre nuove esigenze».
Questo richiamo a un’esperienza comune è un mezzo retorico molto efficace per stringere un legame con i destinatari – i giornalisti – a cui De Gasperi vuole dire: “anch’io sono stato giornalista e capisco perfettamente il vostro ruolo e le vostre difficoltà”. De Gasperi non ragiona in astratto, ma parte dal concreto, dal suo lavoro. Si intuisce una precisa consapevolezza di almeno due fattori centrali nella costruzione del discorso: il contesto e gli attori della comunicazione.
De Gasperi riconosce infatti che la lingua è una variabile di cui si deve sempre tenere conto e sa che c’è una diversità sostanziale tra la comunicazione scritta e la comunicazione orale:
«Dovremmo essere tutti d’accordo che il giornale va compilato per chi legge, non per chi scrive o parla».
Da questo principio deriva anche il consiglio di non riportare integralmente sulla pagina scritta i discorsi orali, ma di riformularli per renderli più adatti alla lettura:
«Plaudirò sempre alla redazione che avrà il coraggio di sunteggiare o limitare la riproduzione dei discorsi – cominciando dai miei – alla parte sostanziale, preferendo che essa sia efficace e fedele piuttosto che diffusa e completa».
[Quando si leggono i suoi discorsi pubblicati sulla stampa quotidiana, ci si deve ricordare che non sono una trascrizione letterale del discorso effettivamente pronunciato]
Al centro della volontà comunicativa di De Gasperi c’è quindi la necessità di essere efficaci e fedeli: efficaci, cioè in grado di farsi capire e di convincere il lettore; e fedeli, cioè capaci di riportare le informazioni in modo aderente alla realtà dei fatti.
Inoltre, De Gasperi individua con esattezza i protagonisti della comunicazione (il giornalista che scrive, ma anche il lettore che legge), e coglie l’importanza che nel processo comunicativo riveste il destinatario. I giornalisti infatti devono sempre ricordarsi a chi si rivolgono (al lettore, al cittadino medio) e proporre «una soluzione che soddisfi di volta in volta l’esigenza della media dei lettori». Fondamentale è quindi capire che cosa interessa il lettore e come fare per afferrare la sua attenzione.
Per intercettare l’interesse del destinatario, il giornalista o l’oratore deve adeguare la propria comunicazione agli usi, agli standard linguistici, alle aspettative dei lettori o degli ascoltatori:
1946-11-16: «Altri aggiungeranno qui la loro parola di esperti e di economisti. Io non parlerò che il linguaggio comune, rivolgendomi al senso realistico e al civismo degli italiani»
De Gasperi sa che la comunicazione cambia al variare degli interlocutori e che l’oratore deve saper calibrare il suo stile a diverse situazioni:
1949-04-20: «nei comizi […] parlavo con parola semplice e franca e senza avere il tempo di preparare i discorsi»
Ciò non vuol dire che De Gasperi non prestasse attenzione alla costruzione dei suoi discorsi. E nemmeno che i suoi discorsi siano “semplici”. Quello che vuole mettere in luce è l’immediatezza, la semplicità di un’oratoria che non cede alla retorica vuota e pomposa.
Questo ideale di concretezza e di efficacia si trova anche se si cerca, ad esempio, l’uso che De Gasperi fa del lemma parola:
Dalle co-occorrenze con LEMMA parola + Aggettivo, spiccano innanzitutto, come è facile intuire, alcune co-occorrenze generiche con ultimo e con solo che entrano nelle frasi fatte “avere, dire l’ultima parola” e “dire una sola parola”.
Ma accanto a questi aggettivi più generali, ci sono anche alcuni aggettivi molto indicativi del modo in cui De Gasperi concepisce la parola che può essere precisa, testuale, franca, semplice. Sono aggettivi che esprimo le caratteristiche del linguaggio a cui De Gasperi pensa e che confermano proprio i due poli della sua riflessione: l’adesione alla realtà e l’immediatezza comunicativa.
Lo stile dell’oratore deve quindi essere convincente e immediato, legato ai fatti e alla realtà delle cose, vicino alla lingua del destinatario. È quello che De Gasperi afferma anche in altre occasioni, negli ultimi anni della sua vita: da più parti gli viene rimproverata una certa durezza di stile, che lui però nega sostenendo che non di durezza si tratta, ma di un linguaggio diretto e senza filtri, che sembra duro perché dice le cose come stanno (a differenza di chi non le dice: cioè, nello specifico, i comunisti). De Gasperi ammette che il suo linguaggio è aspro, rude e forte, ma perché vuole essere prima di tutto chiaro e veritiero:
1948-03-07, Discorso elettorale: «mi viene rivolta l’accusa di usare un linguaggio troppo rude»
1948-03-14, Comizio: «Nel mio linguaggio forte, ma assolutamente veritiero, non ho mai ricorso ad accuse anonime; non ho mai avanzato sospetti»
1948-22-02: «Grave sarebbe però anche la responsabilità del presidente del Consiglio [= De Gasperi stesso] se non smascherasse queste manovre e queste menzogne dei comunisti, se non rendesse edotti gli italiani del vero stato delle cose, con linguaggio decisamente chiaro anche se gli viene rimproverato di essere aspro»
Quando si legge De Gasperi, l’impressione è che la sua prosa non è sempre facile, ma è anche più varia di quello che si può pensare. Spesso riesce a alternare stili e registri, e li sa variare in base ai contesti: così, se in molti contesti, soprattutto nell’ultima fase della sua vita e in ambiti ufficiali, di partito e istituzionali, è molto controllato e misurato, dalla sua esperienza giovanile di giornalista emerge uno stile molto più vivace e creativo.
Insieme a Konrad Adenauer, Rober Schuman, Jean Monnet e Paul-Henri Spaak, De Gasperi è considerato uno dei padri fondatori dell’Europa. Negli ultimi anni di vita lavorò con energia alla costruzione di un’unità politico-economica dell’Europa occidentale, che ai suoi occhi rappresentava uno straordinario strumento di pace, crescita e sviluppo per i paesi da poco usciti dalla guerra.
Ma quale attenzione ha riservato De Gasperi all’Europa nel corso della sua attività politica e pubblicistica? Un esame delle ricorrenze testuali e del loro contesto permette di evidenziare come nella prima parte del suo impegno il termine sia stato utilizzato in un’accezione prevalentemente storico-geografica o . L’Europa era definita, in questo senso, dalle esperienze comuni che le nazioni europee avevano maturato e valeva a circoscrivere uno spazio storico e politico non unitario; più che un orizzonte politico omogeneo, essa costituiva la cornice entro cui si svolgevano i singoli destini nazionali.
La “vecchia Europa” era un insieme di esperienze storico-politiche in decadenza, attraversata da una profonda crisi morale, spirituale, civile e politica. Poco prima dello scoppio della Prima guerra mondiale, «le ruine di questa vecchia Europa crollante» apparivano in tutta la loro evidenza, come sottolineava in uno scritto del febbraio 1913 : «Come è nuda, come si rivela in tutto il suo crudo egoismo codesta Europa moderna, proclamatasi tante volte nei congressi e nelle esposizioni internazionali madre disinteressata dei progressi umani. E pure la mente si ribella al pensiero che la crisi manifestatasi negli ultimi anni e fattasi acuta negli ultimi mesi, diventi un male incurabile e letale. Uomini del secolo ventesimo che hanno tanto studiato e tanto esperimentata la vita sociale ed internazionale, non possono credere che la china su cui l’Europa va scivolando sia già la parabola discendente della nostra cultura e che ormai si pieghi verso la decadenza. Noi dobbiamo sperare che si tratti solo di una crisi passeggera, di un sussulto momentaneo che scuota ma non distrugga il presente organismo. Ci sono infine in fondo a questa vecchia Europa delle grandi forze morali da far rivivere e fruttare. Dietro le frasi vuote del moderno naturalismo sta ancora il grande patrimonio secolare dell’idealismo cristiano. Come attingendo ad esse si rifanno gli individui così si rinnovano le nazioni. Così l’Europa potrà celebrare il suo risanamento. Illusione? Può essere; ma, in fondo, senza illusioni la vita politica sarebbe insopportabile».
La «guerra universale», come l’aveva definita già nel 1911 presagendone i contorni, avrebbe rappresentato uno spartiacque: l’Europa, e con essa «tutto il mondo antico che fino ieri si disse moderno», sarebbe sprofondata in un’immensa rovina. A implodere non era un progetto politico unitario di respiro sovranazionale, ma l’insieme dei singoli percorsi nazionali e con esso l’idea stessa di una cornice culturale e spirituale comune.
Tra il 1919 e il 1939 il discorso degasperiano sull’Europa non cambia di segno : la connotazione è ancora storico-culturale, con una particolare attenzione al dato spirituale, in cui veniva rilevato il vero collante ideale tra le nazioni europee. Le attenzioni del politico trentino vanno così alle sorti della cultura cattolica nel contesto europeo, più che all’edificazione di un orizzonte politico comune. Emblematica, a questo riguardo, la riflessione condotta nei primi anni Trenta a partire dalla Storia d’Europa di Croce, criticata per non aver correttamente messo in luce il ruolo propulsivo che il pensiero cattolico ha avuto nello sviluppo della cultura democratica europea Ripensando la Storia d’Europa ; Sulla Storia d’Europa . Anche i riferimenti all’attività della Società delle Nazioni sono quelli di un analista internazionale (in particolare negli anni Trenta, in cui fu attivo come esperto di politica internazionale per il quindicinale dell’Osservatore Romano), più che quelle di un politico impegnato attivamente alla costruzione di un disegno istituzionale di respiro continentale.
Le cose mutano con la fine della Seconda guerra mondiale ed il conseguente rimodellamento degli scenari politici internazionali . Un primo indicatore del progressivo cambio di paradigma è dato dall’evoluzione lessicale, che fotografa il mutamento dell’orizzonte politico contemporaneo: se prima il baricentro della riflessione degasperiana riguardava l’”Europa centrale”, nel secondo dopoguerra l’attenzione va all’”Europa occidentale”, a testimoniare la divisione geopolitica subita dal continente all’indomani del conflitto. Ma a marcare con evidenza il nuovo passo del discorso di De Gasperi, che si fa europeista in senso sempre più stretto, sono le espressioni con cui si riferisce alla realtà europea: “Unione dell’Europa”, “Europa unita”, “unità dell’Europa” (42 co-occorrenze complessive) e Consiglio d’Europa (37 co-occorrenze) sono le espressioni con cui il termine Europa ricorre con maggiore frequenza. In ballo non è più la riflessione sulle radici storico-culturali del continente europeo, ma la costruzione di un progetto politico volto a garantire pace, sviluppo economico e sociale all’Europa occidentale, divenuta negli anni il modello di “nuova Europa”.
Negli anni tra le due guerre De Gasperi aveva maturato la convinzione che per salvaguardare la pace nell’ordinamento politico internazionale fosse necessario un superamento della dimensione nazionale e statuale. Negli scritti programmatici dei primi anni Quaranta i riferimenti all’internazionalismo sono ancora generici e non troppo strutturati, legati alla difesa di una prospettiva universalistica e sovranazionale alla quale non erano però attribuite caratteristiche specifiche. È solo a partire dal 1947 che l’ideale federalista ed europeista prese corpo in termini più definiti, e fu il frutto di un’opera di mediazione tra le istanze universaliste di provenienza cattolica e modelli argomentativi maturati in ambienti laici. La base culturale intorno a cui si definì l’europeismo degasperiano è costituita dal solidarismo cattolico, ma a quella componente si andò affiancando, nel corso dei tardi anni Quaranta e in misura ancor più spiccata nei primi anni Cinquanta, una progressiva apertura all’opzione federalista.
Per mezzo di una proiezione dei temi della libertà, della democrazia e della giustizia nel contesto internazionale, De Gasperi giunse a tracciare i lineamenti di una politica europeista orientata al superamento dello Stato nazionale e delle forme tradizionali della sovranità da perseguire attraverso la fondazione di istituzioni politiche sovranazionali. Il tutto in nome della difesa della pace e della salvaguardia della solidarietà rinnovatrice intorno a cui si sarebbe dovuto costruire, sulla scorta del messaggio democratico-cristiano, il nuovo ordine politico internazionale. Per lo statista italiano la collaborazione economica doveva seguire quella politica, la quale avrebbe dovuto rappresentare l’obiettivo primario dell’agenda internazionale dell’Europa postbellica. La sua adesione al paradigma federalista era del resto strettamente legata alla difesa e allo sviluppo del concetto di democrazia che aveva maturato nel corso dei decenni precedenti, che costituiva lo strumento per garantire la convivenza civile e, attraverso di essa, la ricostruzione di un ordine internazionale di pace.
L’attenzione alla costruzione di un nuovo orizzonte politico comune su scala europea è ben condensato nelle parole pronunciate da De Gasperi in un discorso alla radio nel 1952: «Non vi parlerò dell'Italia, ma dell'Europa e non dell'Europa di ieri o di oggi, ma dell'Europa di domani, di quell'Europa che vogliamo ideare, preparare, costruire» . Negli ultimi mesi di vita De Gasperi, abbandonate le cariche di governo, investì molte energie nell’edificazione della casa comune europea, fornendo un contributo importante al dibattito sul tema e dando conferma di quanto la prospettiva internazionale fosse per lui una componente fondante di quella nazionale. Come disse in occasione del suo ultimo discorso pubblico, «nell’attuale situazione internazionale l’unica politica nazionale dell’Italia è quella della solidarietà con i popoli liberi, ossia - non si gridi al paradosso - la politica nazionale è la stessa politica internazionale e sopranazionale» .
Il cammino verso l’Europa unita sarebbe stato ancora lungo e tortuoso e avrebbe seguito percorsi non del tutto aderenti al disegno degasperiano, ma è innegabile che la definizione del concetto politico di Europa deve molto all’esperienza dello statista trentino.
L’esame dei principali concetti chiave presenti negli scritti e discorsi di De Gasperi restituisce il senso di fusione tra idealità e realtà che ha caratterizzato lo sviluppo del suo progetto politico. Fin dagli anni della formazione il giovane Alcide ha mostrato una certa sensibilità nell'interpretare i profondi mutamenti culturali e sociali in atto. Si prenda ad esempio la nuvola concettuale del discorso di Mezzocorona del settembre 1901 , uno dei primi interventi pronunciati dal giovane De Gasperi, in cui egli esprime la propria fiducia nella militanza religiosa come strumento di costruzione dell’identità politico-culturale del Trentino asburgico. Il discorso ruota intorno ad alcuni concetti chiave come decadenza, cristianesimo, cultura moderna, colpe di oggi, cultura avvenire, rinascimento, riscossa cristiana, redenzione. Un insieme di termini ed espressioni che rivelano le coordinate di un progetto di agitazione politica orientato alla riscossa (culturale ma non solo) del movimento cattolico.
Il tema dell’identità religiosa resterà centrale nella prima parte della sua attività politica, segnata da una vivace contrapposizione alle forze anticlericali. Le parole chiave lo esprimono chiaramente : liberalismo e socialismo sono i bersagli polemici intorno a cui si costruisce il progetto del Partito popolare trentino. Le espressioni e le aggettivazioni che co-occorrono coi termini liberalismo e socialismo confermano il peso che l’avversario ha nella definizione dell’identità politica del cattolicesimo locale: tra le espressioni più ricorrenti associate alla politica dei liberali troviamo così inetto, intollerante, vecchio, anticlericale, impenitente, miserabile; a descrivere l’azione dei socialisti ricorrono invece parole come ateo, anticristiano, organizzazione dell’irreligione. Come mostrano altri concetti chiave ricorrenti (Alto Adige, università e Volksbund), lo stesso meccanismo di costruzione a contrario dell’orizzonte politico vale per i temi legati alla difesa dell’identità nazionale del Tirolo italiano, osteggiata dalle autorità imperiali e dai circoli pangermanisti tirolesi.
Con l’ingresso nella vita politica italiana cambiarono (ma solo in parte) temi e orizzonti dell’azione politica di De Gasperi , il quale si ritrovò a vivere su scala nazionale un’esperienza simile a quella fatta in ambito locale nel Trentino asburgico, ovvero la costruzione di un partito politico di ispirazione cattolica. Anche in questo caso si tratta di un progetto definito in alterità rispetto ad altre forze politiche (socialisti e fascisti su tutti), ma con una diversa accentuazione del profilo programmatico rispetto agli anni giovanili. I temi prevalenti riguardano la giustizia sociale, il decentramento amministrativo, la tutela della moralità pubblica, la libertà di insegnamento. Come suggerisce la nuvola concettuale relativa al Discorso alla Camera dei Deputati del 24 giugno 1921 , l’attenzione è ancora centrata sull’identità nazionale del Trentino, che il passaggio al Regno d’Italia aveva rimodellato significativamente: non a caso i termini più rilevanti del documento sono Italia, nazione, provincie, domandiamo, autonomie locali, diritto storico. Una posizione centrale nel bagaglio argomentativo degasperiano del primo dopoguerra lo ha l’espressione “Partito popolare”, cuore dell’esperienza politica di De Gasperi in quegli anni. È una presenza per molti versi ovvia, ma il suo dato quantitativo [parola chiave: partito popolare] testimonia la declinazione tutta politica che in quegli anni tenta di offrire del messaggio cattolico. Nei turbolenti anni della crisi dell’Italia liberale l’attenzione all’elemento politico prevarrà in genere sulle riflessioni di carattere più strettamente culturale e spirituale. Una parziale inversione di rotta si avrà negli anni del fascismo, che relegheranno l’ultimo segretario del partito di Sturzo ai margini della vita politica nazionale.
Per De Gasperi, ostile al regime mussoliniano, l’unico spazio di intervento restava l’attività pubblicistica e saggistica. La centralità ricoperta tra la fine degli anni Venti e i primi anni Quaranta da termini come cattolicesimo, corporazioni, economia, Chiesa, libertà, Quadragesimo anno testimonia in forma abbastanza netta la prospettiva degasperiana di quegli anni, orientata a difendere i fondamenti del discorso cattolico-democratico da una prospettiva culturale prima che politica. L’insistenza sui fondamenti del messaggio sociale cristiano e sul recupero dei principi di libertà difesi dal cattolicesimo descrivono i contorni di questa lotta politica trasfigurata, perseguita in sostanziale sintonia con gli indirizzi politici della Santa Sede.
Singolare, ma solo in apparenza, è l’assenza del termine fascismo nella nuvola concettuale che descrive temi e contenuti affrontati nell’attività pubblicistica del lungo esilio. De Gasperi dà centralità alla discussione delle proposte politiche concorrenti, quella socialista e comunista, che dal suo punto di vista minacciano le sorti stesse della civiltà europea. Più circospetti e misurati sono l’esame e la contrapposizione col fascismo. Per ovvie ragioni le prese di posizione nei confronti del regime da parte di De Gasperi, sottoposto in quegli anni a stretta sorveglianza, non potevano che essere sfumate.
Lo suggeriscono anche i dati relativi ai nomi di persona richiamati con maggiore frequenza negli anni della dittatura : Mussolini è “solo” il quinto personaggio più citato (presente in 27 documenti), preceduto da Gil Robles (citato in 35 documenti), Dio creatore (40 documenti), Leone XIII (57 documenti) e Gesù Cristo (76 documenti). La frequenza dei riferimenti a figure politiche straniere (ricorrenti anche i richiami a Roosevelt, Rosenberg, Papen) è favorita dal taglio internazionalista di buona parte della produzione degasperiana degli anni Trenta, ma la frequenza dei richiami a personalità di ambito religioso come Vogelsang o Leone XIII (il caso di Gesù Cristo e di Dio sono ovviamente casi limite) conferma le caratteristiche dell’orizzonte argomentativo degasperiano di quegli anni, in cui il confronto con la politica nazionale avviene spesso per linee indirette.
L’ultima parte della vita politica degasperiana riflette un orizzonte concettuale in cui a prevalere sono i temi imposti dall’agenda politica . Convinto, a differenza di alcuni ex compagni di partito, che non fosse sufficiente far rivivere l’esperienza del popolarismo, De Gasperi si impegnò a dare forma ad un disegno politico capace di richiamare la tradizione cattolico-democratica europea, ma con un approccio programmatico rivolto al futuro. Il famoso documento Idee ricostruttive della democrazia cristiana dedicato alle , l’atto fondativo della Dc composto in larga parte di suo pugno, testimonia l’orizzonte ideale in cui si mosse la sua azione politica; l’asse concettuale intorno a cui si struttura il documento è definito dai seguenti temi: popolo italiano, comunità internazionale, economia, libertà politica, giustizia, rappresentanza, accesso alla proprietà, libertà di coscienza, fraternità. Temi generali, che descrivono in termini generali le basi ideali di un progetto politico che si sarebbe definito nel tempo.
Quello della nascente Dc sarà, lo conferma l’esame degli ambienti-idea dei concetti cardine del documento, uno spettro ideologico piuttosto ampio, forte ma poco definito, comprendente il recupero di vecchi stilemi della dottrina sociale della Chiesa, suggestioni personaliste assorbite dal dibattito teologico d’oltralpe, richiami alla tradizione cattolico-liberale e ai modelli di democrazia rappresentativa, rimandi alla vecchia cultura guelfa alleggerita dei timbri più conservatori.
In occasione dei discorsi programmatici degli anni a seguire il panorama ideale sarebbe rimasto pressoché stabile. Come mostrano, solo per fare due esempi, i nodi tematico-concettuali espressi nel discorso sulle Basi morali della democrazia pronunciato a Bruxelles il 20 novembre 1948 e nel discorso dedicato a La nostra patria Europa tenuto a Parigi il 21 aprile 1954, riguardano la libertà politica, il cristianesimo, l’idea di civiltà, la pace, l’unione europea, il principio di solidarietà. Temi di largo respiro che si ben si adattano alle occasioni ufficiali in cui sono stati richiamati, ma che si rifletteranno (non senza alcuni parziali rimodellanti) nella sua pratica politica.
La costellazione concettuale restituita dall’analisi degli scritti e dei discorsi composti tra il 1943 e il 1954 dà ancora centralità alla dimensione di governo, elemento cardine della visione e della pratica politica degasperiane, e a temi come le conseguenze della Conferenza di Pace o la funzione esercitata dagli Stati Uniti nel nuovo equilibrio internazionale. Non mancano naturalmente i riferimenti alle istanze ideali, come conferma la presenta tra i concetti chiave dell’ultima fase di temi come la cooperazione, la giustizia, la libertà, ma le sfide legate alla gestione della lunga e complessa transizione alla democrazia guidarono giocoforza la mano e la parola di De Gasperi.
Nella formazione e nella vita politica di De Gasperi la dimensione spirituale ha avuto un ruolo di grande rilevanza. Una conferma indiretta del peso che la cultura religiosa ha avuto per il politico trentino viene dall’esame dei nomi di persona citati all’interno dei suoi scritti e discorsi politici : la figura in assoluto più citata è Gesù Cristo (richiamato in 192 documenti), seguito da Mussolini (167), Togliatti (159), Nenni (145), Leone XIII (95). Sono numeri che, pur nella loro genericità, indicano un’attenzione tutt’altro che episodica per l’elemento religioso. I riferimenti a Cristo sono naturalmente un caso limite, ma comunque significativo. I richiami a Leone XIII, il pontefice della Rerum Novarum promotore di un rinnovamento dell’impegno sociale della Chiesa, testimoniano in maniera analoga la rilevanza che l’orizzonte religioso ha avuto nella maturazione della proposta politica dello statista trentino.
La fede cristiana ispirò non solo gli ideali di De Gasperi, ma la sua stessa azione politica. Egli partecipò alla vita pubblica da cristiano, guardando alla cultura politica del cattolicesimo per trovare le categorie con cui interpretare la realtà. Lo mostra l’esame delle principali co-occorrenze che nel lungo periodo caratterizzano l’uso del termine “cristiano”: “spirito cristiano”, “senso cristiano”, “Stato cristiano”, “popolo cristiano”, “pensiero cristiano” sono i termini che definiscono lo sforzo degasperiano di definire un approccio cristiano alla politica, capace di condensare le idealità del messaggio religioso senza però dare vita a una prospettiva politica piattamente confessionale . Del resto i primi passi De Gasperi li aveva mossi come giovane agitatore politico, convinto che i cattolici avessero il compito di rinnovare la cultura movendo alla conquista della vita moderna e aiutando in tal modo la Chiesa a dare soluzione alla questione sociale che affliggeva la classe operaia e la popolazione contadina.
Quale fosse il valore (e il ruolo politico) del cattolicesimo lo esplicitò in occasione del primo Congresso cattolico Trentino nel settembre 1902 : «O chiamate voi forse religione cattolica quelle quattro usanze rimaste per forza d’inerzia, come far battezzare i bambini, assistere a qualche funzione di parata e far posare la croce sul feretro, mentre la vita privata e pubblica è informata a principii pagani o a vieti compromessi, mentre i libri, la stampa quotidiana, l’arte, il teatro, le istituzioni sono inspirati ad ideali che sono fuori o contro il cristianesimo? No, o signori, il cattolicismo è qualche cosa di più integrale, non estraneo a niente di bene, avverso a qualunque male, una regola fissa che deve seguire l’uomo dalla culla alla bara, l’anima e il midollo di tutte le cose».
La rilevanza dell’elemento religioso non significa però che la sua attività politica, in particolare quella della maturità, sia espressione della volontà delle gerarchie ecclesiastiche. Per De Gasperi agire “cristianamente” non significava confondere il piano religioso con quello politico; il partito, pur espressione del messaggio cristiano, doveva infatti conservare un’anima non confessionale, frutto di una divisione rispetto all’azione della Chiesa.
Sulla centralità dell’ispirazione cristiana come motore della sua pratica politica De Gasperi è intervenuto più volte; basti pensare all’orizzonte entro cui proiettava il progetto democristiano nella drammatica estate del 1943 : «Una democrazia rappresentativa, espressa dal suffragio universale, fondata sulla eguaglianza dei diritti e dei doveri e animata dallo spirito di fraternità, che è fermento vitale della civiltà cristiana: questo deve essere il regime di domani». Per lo sviluppo democratico del Paese era necessario, secondo De Gasperi, che il «lievito cristiano fermenti in tutta la vita sociale, che la missione spirituale della Chiesa cattolica si svolga in piena libertà, e che la voce del Romano Pontefice, levatasi così spesso in difesa della dignità umana, possa risuonare liberamente in Italia e nel mondo» . Ciò non significava, però, abbandonare una concezione pienamente laica delle istituzioni e rimettere alle gerarchie ecclesiastiche la scelta degli indirizzi politici del partito democristiano. In questo De Gasperi fu sempre risoluto, anche a costo di scontrarsi duramente con altre anime della Dc e con il Vaticano stesso. In questo senso il leader della Dc difese l’autonomia della propria azione politica ricorrendo al principio di responsabilità e rivendicando la sostanziale laicità dell’organizzazione politica democristiana, pur in un contesto di chiara adesione ai principi cristiani.
Una netta propensione verso un approccio non confessionale al tema dell’impegno politico dei cattolici si evince dai numerosi scritti dedicati negli anni alle varie esperienze del cattolicesimo politico europeo (tra cui la Lettera aperta a Padre Gemelli, 1926; Le direttive politico religiose del Zentrum, 1928; I tempi e gli uomini che prepararono la rerum Novarum, 1931 ; Ripensando la Storia d’Europa, 1932). L’esperienza nella Vienna asburgica guidata dai cristiano-sociali di Lueger aveva rappresentato per De Gasperi un significativo esempio di partito orientato ad un’azione politico-sociale ispirata alle basi etiche del cristianesimo. Come scriveva in un articolo del dicembre 1907, «i cristiano sociali non sono un partito confessionale: hanno un programma politico e le loro azioni come deputati vanno giudicate, quali azioni politiche, né è giusto chiamare a renderne conto la Chiesa cattolica o il cattolicismo» . Le forze politiche cattoliche dovevano tendere «a che la Chiesa trovi più giusta considerazione nella vita pubblica» e contribuire alla riscossa del pensiero cristiano sulle ideologie concorrenti, in particolare liberalismo e socialismo, ma nel rispetto della divisione tra sfera religiosa e orizzonte politico.
Anche l’esempio del partito cattolico tedesco del Zentrum fu per De Gasperi di particolare rilevanza. Con esso il cattolicesimo aveva mostrato di potersi aprire all’esperienza costituzionale moderna e di voler difendere la laicità delle istituzioni senza per questo rinnegare la propria ispirazione religiosa. Non a caso a quell’esempio De Gasperi fece esplicito richiamo nel febbraio 1944 all’interno di uno dei principali documenti programmatici della neonata Democrazia cristiana: «perché del Zentrum germanico non si utilizza anche la tradizione politica?» Il che significava cooperare alla costruzione dello Stato, «garrire la bandiera civile della libertà», lavorare per garantire la dignità dei cittadini e l’uguaglianza dei loro diritti.
Come ricordava in chiusura di un intervento al Consiglio nazionale della Dc del 1950, «la Dc è sociologia cristiana messa in pratica. Siamo un partito riformatore, rinnovatore, che va avanti, che può adattarsi a qualsiasi forma a meno che non sia una forma negatrice della libertà. Nostra speranza: riuscire a far fermentare lo spirito cristiano in modo di restaurare una coscienza civica e politica fondata sui nostri princìpi» . Era la conferma del principio di laicità a cui si era riferito nell’estate del 1949 a conclusione del Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana tenutosi a Fiuggi: «A questa “laicità” basta la Costituzione, a cui gli spiriti credenti hanno collaborato votandola così come è, non perché ritenessero che l’invocazione a Dio avrebbe menomata la dignità umana e il libero arbitrio (…) ma perché sanno che nella Costituzione di uno Stato moderno non è necessario proclamare le proprie credenze, quanto è indispensabile di accordarsi su norme di convivenza civile che colla libertà di tutti, difendono anche la libertà della fede» .
L’azione degasperiana del secondo dopoguerra si è mossa tra questi due poli: condurre il mondo cattolico alla piena accettazione del principio democratico mostrando che «i princìpi fondamentali della Chiesa cattolica sono conciliabili con le regole di convivenza e di condotta in uno Stato moderno e costituzionale ispirato a giustizia e libertà» , e preservare il partito da ingerenze troppo marcate da parte della gerarchia ecclesiastica distinguendo, senza giungerle a separarle irrimediabilmente, la sfera religiosa da quella politica.
A costo di andare incontro a notevoli difficoltà con le gerarchie vaticane, De Gasperi mantenne sempre fede all’esercizio in senso laico di una politica poggiata su salde basi cristiane. Del resto tra gli obiettivi di un partito politico e quelli della Santa Sede non poteva esserci piena aderenza; come andava confidando alle persone a lui più vicine, «aiutare certo, nella ricostruzione delle chiese, ma ammettere interferenze, nelle nomine dello Stato, no […]. Noi, in quanto uomini politici, abbiamo un ideale, la democrazia, che la Chiesa non ha, ne ha ben altri». Un principio che aveva espresso pubblicamente, seppur in forma più sfumata, in uno dei suoi ultimi discorsi, quello pronunciato a conclusione del congresso della Dc del giugno 1954: «Nessun dubbio che nella sfera che è della Chiesa la nostra adesione è piena, sincera. Tale sentimento si estende anche alle direttive morali e sociali, contenute nei documenti pontifici, che quasi quotidianamente hanno alimentato e formato la nostra vocazione alla vita pubblica. [...] Ma è anche vero che per operare nel campo sociale e politico non basta né la fede né la virtù; conviene creare e alimentare uno strumento adatto ai tempi, il partito, cioè una organizzazione politica che abbia un programma, un metodo proprio, una responsabilità autonoma, una fattura e una gestione democratica» .
Dalla lettura dei suoi scritti, il senso di fedeltà di De Gasperi per il messaggio cristiano ed il rispetto per la gerarchia vaticana appaiono in tutta evidenza. La sua azione politica ha sempre trovato fondamento e ispirazione in una spiccata religiosità, ma si è trattato di una fede che non ha mai compromesso il senso di autonomia politica nei riguardi della Chiesa. In fondo tra i principali meriti di De Gasperi ci fu proprio l’aver riassorbito da una prospettiva laica, democratica e libertaria, gli storici steccati che a lungo avevano diviso politica e religione cattolica.
Spesso si dice che De Gasperi fosse un politico interessato più alla concretezza dell’azione che alla dimensione teorica e culturale. In realtà, però, De Gasperi nei suoi scritti accenna spesso a riferimenti culturali specifici, con finalità retoriche.
Se si cerca il lemma Dante – un nome dalle chiare risonanze culturali – con le co-occorrenze, si trovano alcuni sostantivi di facile spiegazione come monumento (di Trento), Italia, padre, patria, e nomi di altri artisti, come Raffaello e Michelangelo. Altri sostantivi sono meno intuitivi: un caso interessante è, ad esempio, quello di libertà. In un primo discorso (del 29 gennaio 1904), Dante è citato per un famoso verso della Divina Commedia:
“è sintomatico che il motto di Dante «libertà va cercando ch’è si cara» trovi anche nella pratica degli studenti nostri tutte le interpretazioni fuori di quella che gli diede l’autore della mirabile visione” (1904) .
De Gasperi contesta l’interpretazione corrente del verso, datagli dai giovani socialisti, di “libertà di pensiero”, perché non terrebbe conto del vero significato che lui invece vi riconosce, di “libertà cristiana” e “morale”. In questo primo passo, in realtà, De Gasperi cita il verso, ma non si dilunga in spiegazioni.
In secondo caso, il giovane giornalista De Gasperi espone la sua posizione al riguardo in modo molto più articolato:
“E qui è caratteristico per l’adulterazione del significato delle parole, prodotta universalmente dal liberalismo, la falsa interpretazione che da noi s’è voluto dare ad un verso dantesco. [...] La libertà che Dante andava cercando, è dunque trovata. Ma è forse la libertà dei «liberi pensatori»? No, è la libertà cristiana, la libertà morale. [...] la mente, se vuole che la conoscenza corrisponda alla realtà, deve seguire la legge del pensiero, che è la verità. In questo senso è scritto che «la verità ci farà liberi» (Giovanni VIII, 31).” (1912)
Un terzo passo che si può trovare è un po’ più complicato: il nome di Dante compare in un passaggio di Cesare Balbo, che De Gasperi cita per confutare alcune opinioni di Benedetto Croce:
“Già nelle «Speranze d’Italia» il Balbo si era rivolto contro la tendenza che gli amici del cattolicismo parevano accettare dai suoi nemici, quella cioè di far risalire tutto il movimento di libertà alla riforma protestante. «La ragione non aveva bisogno di emancipazione dopo Dante, Tomaso, Machiavelli. La libertà e la licenza non erano figliate dalla libertà e licenza di coscienza, già vecchie come erano di quattro secoli nei comuni italiani…».” (1935)
Questo uso particolare deve essere collocato nel suo contesto discorsivo, di polemica intellettuale in difesa del pensiero cristiano europeo; tuttavia, anche solo la registrazione di questa citazione è indicativa, perché conferma che l’associazione tra Dante e la libertà non arrivi a De Gasperi dal nulla, ma abbia alle spalle una tradizione di pensiero molto ben definito (quello del cattolicesimo ottocentesco). Inoltre, tra tutte le possibili citazioni da Balbo, De Gasperi ricorda qui proprio un passo che affianca Dante e libertà, a dimostrazione di come il nesso tra l’uno e l’altra fossero ben presenti alla sua memoria e a lui congeniali.
Un quarto passo, infine, che appare in chiusura di un comizio, riprende Dante con un linguaggio estremamente aulico, con una forte carica emotiva:
“Cercavo io qualche cosa di sicuro, di incontestabile, di eterno che riaffermasse la nostra fede nei destini della patria, che fosse il segno supremo della nostra storia, l’ancora della nostra speranza, la sorgente perenne della nostra civiltà e piegai le ginocchia dinanzi alla tomba di Dante. Egli che aveva battagliato per la libertà politica aveva infine riposato nel poema della redenzione e della libertà religiosa.” (1951)
Qui, oltre che permettere l’evocazione della libertà e della chiara associazione tra Dante e la “nostra civiltà”, nominare il poeta ha una evidente funzione retorica. L’obiettivo di De Gasperi è commuovere i suoi ascoltatori, trascinarli a credere a quello che sta dicendo. Per farlo usa parole che rinviano a valori di grande impatto, e dalla forte connotazione religiosa: eterno, fede, destini, patria, supremo, storia, sorgente perenne, redenzione… Potremmo dire che qui De Gasperi è retorico nel senso comune del termine: adotta uno stile molto elevato, una forma molto elaborata, ma quello che gli interessa, più che il contenuto in sé, è proprio l’effetto che le parole esercitano su chi le ascolta. Nel 1951, a Milano, un discorso pubblico di De Gasperi raccoglieva migliaia di persone, che si lasciavano entusiasmare, trascinandosi a vicenda: è un modo di comunicare che incide sul testo, e di cui dobbiamo sempre tenere conto nel valutare un documento. In questo contesto Dante e la libertà diventano un mezzo, un pretesto per creare un vincolo emotivo con dei possibili, futuri elettori.
Naturalmente, queste quattro occorrenze della figura di Dante non sono le uniche, nel corpus degasperiano, anzi. Dante Alighieri compare molte altre volte, e per capire bene il significato che ricopre nel pensiero di De Gasperi, è necessario collocarle nel loro contesto più ampio. Dante spesso è nominato in quanto portatore di valori dell’italianità, cioè della cultura e della storia di Italia, e come poeta e uomo cristiano, che ha saputo vivere con piena coerenza la sua fede e il suo impegno politico.
Il valore politico e retorico che Dante assume negli scritti di De Gasperi si spiega in virtù della grande popolarità di Dante stesso: tutti a scuola l’avevano letto e tutti, appena ne sentivano il nome, lo associavano a valori forti di identità nazionale. Evocarlo contro i nemici, citarlo in un comizio permette a De Gasperi di creare un senso di appartenenza con i suoi lettori e i suoi ascoltatori. È come se dicesse: “io e voi siamo accomunati dalla stessa percezione di questo grande poeta, italiano e cattolico”.
De Gasperi è ricordato come uno dei maggiori statisti italiani. Vero e proprio emblema dell’”uomo di Stato” portato a servire il Paese, egli è stato anche “uomo di partito” e “uomo di governo”. Vale allora la pena chiedersi quale concezione abbia avuto del partito e del governo, due dei principali poli intorno a cui è ruotata la sua lunga azione politica.
Un primo elemento da segnalare riguarda la rilevanza che i due termini hanno negli scritti e discorsi degasperiani . In particolare, governo rappresenta la key word più significativa dell’intero corpus, partito la nona. È un dato che non stupisce e che naturalmente non va sovrastimato, trattandosi di termini ovviamente centrali nella pubblicistica di un leader di partito e di governo così longevo. In linea generale è possibile notare come il termine partito sembri avere un peso particolare nella prima parte della sua esperienza politica , mentre l’insistenza sul governo come snodo centrale delle sue riflessioni (e della sua azione politica, visto che fu Presidente del Consiglio dal 1945 al 1953) sia un fenomeno caratteristico in particolare dell’ultima fase della sua attività pubblica .
Un’analisi delle co-occorrenze del termine partito permette di comprendere come per il primo De Gasperi esso non rappresentasse il motore esclusivo della vita sociale; il partito costituiva infatti solo uno degli organismi attraverso cui si esprimeva la vita politica, economica e sociale di una comunità . Era una visione per così dire limitata del partito, che per De Gasperi rappresentava anzitutto uno strumento di mobilitazione elettorale e ricopriva un ruolo di sostegno rispetto al vero fulcro dell’organizzazione cattolica, che nel Trentino di quegli anni era rappresentato dal Comitato Diocesano. Lo avrebbe ricordato nel 1920 all’assemblea del Partito popolare trentino: «Le società cattoliche o i sindacati hanno una propria sfera d’azione ed una funzione particolare. Il partito politico non le assorbe né pretende dirigerle o sfruttarle, ché esse hanno vita propria e, direi, anteriore e superiore al partito, ma ne appoggia l’azione quando essa rientra nella direttiva del suo programma» .
Gli anni modificarono naturalmente molte sfumature nella visione degasperiana del partito, a partire dalla stretta dipendenza nei riguardi della gerarchia ecclesiastica, ma si conservò in fondo una visione non troppo strutturata del partito, così come rimase inalterata la convinzione nella sua sostanziale subalternità rispetto all’azione esercitata all’interno delle istituzioni. «Il partito è un organismo limitato», avrebbe scritto nel gennaio del 1944, «che non ha da proporsi di fare o innovare in tutti i campi, perché è consapevole che altri organismi sociali agiscono nello stesso tempo e nello stesso spazio su diversi piani» . In altre parole, il partito era espressione solo di una porzione della società e non ne rappresentava una sintesi politica organica. In questo senso il partito doveva essere «soprattutto uno strumento organizzativo», dunque un'organizzazione che nell'attività ministeriale e parlamentare avrebbe dovuto indirizzare solo una parte delle proprie energie, da dedicare egualmente alla formazione politica e all'intervento diffuso nelle diverse realtà territoriali del paese. Certo, il partito rappresentava lo spazio per dare unità politica ai cattolici, ma non doveva rappresentare l’elemento trainante dell’attività parlamentare e di governo, alle quali era invece subordinato.
Lo avrebbe ricordato ancora in occasione del Congresso nazionale della Democrazia cristiana del giugno 1954 , sottolineando che «il partito non è una organizzazione fine a se stessa, ma è un quadro animatore e organizzatore del corpo elettorale». Nel ricordarlo, il politico trentino tornava a ribadire la doppia funzione del partito, quella di fornire democraticamente le direttive politiche ai rappresentanti e al legislatore e quella di favorire, in quanto «quadro di una realtà più vasta che deve interessare il corpo elettorale», «frequenti e costanti scambi di idee con forze parallele […] come gli organismi professionali, sindacali, di educazione», promuovendo al tempo stesso nelle regioni un contatto stabile col notabilato della periferia.
Come testimonia l’intervento all’Assemblea nazionale della Dc del gennaio 1949 , dunque in un momento in cui il consenso elettorale democristiano aveva superato il 48%, il partito era visto come uno strumento al servizio del paese: «Il partito [...] non si considera fine a se stesso né serve idealità e interessi estranei alla nazione. Il partito è parte ma è parte al servizio del tutto, il paese, l’Italia. Quando studiate nuovi organismi o strutture dovete domandarvi soltanto se esse possono meglio servire il paese o il popolo italiano. Questa idea del servizio sociale, del servizio politico deve essere l’idea fondamentale che ci distingue dagli altri. Siamo un partito nazionale unitario». Del resto l’evoluzione del quadro politico nazionale e l’estromissione delle sinistre dal governo aveva in poco tempo mutato la dimensione progettuale del partito cattolico.
Dalla dichiarazione del giugno del 1945 in cui definiva la Dc come «partito di centro che muove verso sinistra» (link), si era arrivati all’inquadramento della Democrazia cristiana come partito di governo, o meglio come «partito nazionale» che trovava nel centrismo la formula di governo corrispondente: «È necessario, amici miei», dichiarava nel novembre 1947 al Congresso di Napoli [link], «giunti a questo punto, che voi facciate uno sforzo particolare per inquadrare il Partito nella nazione e diventare Partito nazionale».
Si può dire che De Gasperi abbia inteso imporre al partito lo stesso atteggiamento che poneva alla base del proprio agire politico, ossia la sottomissione alle esigenze del paese: «Quando parlo di partito – ricordava nel febbraio del 1953 – penso al partito come strumento e forza della nazione; perché, in fondo, la sommissione vuol dire sommissione agli interessi della Nazione». Legato all’idea di responsabilità politica e lealtà allo Stato che vedeva testimoniata nella forma più nobile dalla storia del Zentrum germanico, il partito tedesco di ispirazione cattolica fondato nel 1870, De Gasperi ha avanzato a più riprese l’idea di un partito capace di rappresentare l’interesse generale e di lavorare al perseguimento del bene comune indipendentemente dalle proprie caratterizzazioni specifiche. Lo ha ricordato nel 1949 in un discorso ai dirigenti lombardi della Democrazia cristiana : «Quando si diventa partito di maggioranza, interprete della maggioranza del paese, allora, pur mantenendo nel nostro cuore, nel nostro sentimento le nostre idee particolari, noi abbiamo il compito e il dovere di prospettare innanzi alla nostra coscienza quello che può essere il modo migliore di servire il paese».
Si è scritto che De Gasperi abbia difeso il primato delle istituzioni più che la supremazia dei partiti, ai quali era chiesto di svolgere un’azione di cerniera tra l’esecutivo e la realtà sociale. Nella complessa dinamica politica e istituzionale, la preminenza andava riservata al governo, quindi alla maggioranza parlamentare, e solo in ultima istanza al partito. Lo avrebbe ricordato al Congresso nazionale di Venezia nel giugno del 1949 in polemica con Dossetti : «Stimolare e preparare è del partito, deliberare è del Parlamento, eseguire è del governo». Proprio intorno ai rapporti tra la pratica di governo e il partito si consumò non a caso il contrasto con la sinistra democristiana, la quale puntava ad accentuare la prospettiva programmatica della Dc ed il suo potere di indirizzo nei confronti del governo.
In ogni caso De Gasperi, che ben conosceva i limiti di una prospettiva politica portata a far coincidere l’azione del governo con l’indirizzo statale, condannò le posizioni orientate a mitizzare il governo e i suoi poteri. Lo ricordò all’indomani della sua nomina a Presidente del Consiglio: «È assurdo formarsi un concetto magico del potere dello Stato e del governo […] Come presidente del Consiglio ammetto che il governo è forse la collettività, ma mi rifiuto di accettare la massima tutto nello Stato e niente fuori dello Stato. […] Poiché la realtà è che l’elemento principale della storia è l’uomo e che l’organizzazione sociale ha la sua più alta base su fattori che non sono compresi nell’idea di Stato: la famiglia, la chiesa, l’università, le associazioni private di assistenza, i sindacati, gli altri istituti della cooperazione armonica dalle quali si esprimono le forme più alte della vita organica di un popolo” .
Non gli furono risparmiate, negli anni che lo videro alla guida dell’esecutivo, le accuse di voler instaurare «il governo del cancelliere», puntando a soffocare l’attività delle Camere e, con esse, il principio democratico. A queste accuse De Gasperi, per il quale il governo parlamentare era la garanzia di sopravvivenza della democrazia, ribatte in termini sempre accesi, come in occasione di un intervento al Senato il 30 giugno 1949 : «Il Governo ha la visione e il ricordo del passato, e non dimenticate che io sono stato uno dei difensori della libertà parlamentare sull’Aventino, e sono rimasto fedele nella mia vita a questo principio fondamentale, a questa esigenza democratica e più che mai, subito dopo, nelle mie manifestazioni politiche – ed anche quest’anno – mi sono sempre allarmato di qualunque movimento antiparlamentare sorgesse, sia che venisse dall’opposizione o da altri partiti o dalla piazza».
L’esecutivo per De Gasperi aveva il compito «di prendere l’iniziativa della maggioranza» e di governare, ma senza mai sottrarsi al controllo del Parlamento. La base del principio democratico, del resto, era la «fiducia nel sistema parlamentare senza riserve». La democrazia si fondava sulla rappresentanza parlamentare e sul principio di maggioranza e il futuro del paese andava costruito entro quelle coordinate.